Beata Giuseppina, sposa di Gesù Crocifisso

Domenica 14 Marzo 2021 alle ore 17:30 presso il Monastero dei SS. Teresa e Giuseppe di Napoli sarà celebrata la Santa Messa in ricordo del transito della Beata Maria Giuseppina di Gesù Crocifisso, carmelitana scalza. La celebrazione, celebrata dal Rev.do Padre Luigi Gaetani, Provinciale dei Carmelitani Scalzi, si svolgerà a porte chiuse per via delle dovute restrizioni legate alla pandemia che ormai da tempo affligge il nostro mondo. Tutti coloro che vorranno parteciparvi potranno comunque farlo collegandosi alla pagina Facebook “Parrocchia Santa Maria di Montesanto” da dove sarà trasmessa in diretta streaming. Mai come in questo tempo così difficile, per la pandemia e non solo, in cui l’uomo avverte sempre più il vivo desiderio di pace e di felicità, ripercorrere l’esistenza della Beata Maria Giuseppina e sperimentare la sua amicizia e la sua “materna” protezione può infondere nel cuore di ciascuno un barlume di speranza.

 

 

“Vivo con l’umanità sofferente, e mi è dolce correre con il pensiero per le corsie degli ospedali, fermarmi ad ogni capezzale,  offrire per ogni infermo, per ogni piaga da curare, tutte le pene dell’essere mio, per lenire, sia pure per un istante, le pene di chi soffre”

Suor Maria Giuseppina Catanea – Pinella per i parenti – nasce a Napoli il 18 febbraio 1894 in una famiglia profondamente cristiana. Molto delicata nel fisico già a partire dai primi anni di età non si ripiega su se stessa ma trova il modo di donarsi con gesti di carità concreta non facili per una bambina per di più dalla salute cagionevole: si priva spesso delle sue cose pur di aiutare chi si trova nel bisogno e con tenerezza visita e aiuta le vecchiette in difficoltà. E’ all’età di 7 anni, al suo primo incontro con Gesù Eucarestia, che Giuseppina si dona totalmente al Signore. E quando a 10 anni riceve il Sacramento della Cresima rivelerà di aver sentito “il cuore sussultare di gioia e l’anima in festa”. Come scriverà, sin da piccola sente che l’amore di Cristo l’ha eletta alla sua sequela e, benché nella sua profonda umiltà se ne ritenga indegnissima, in cuor suo, prende la seria decisione di seguirlo per le vie del Calvario. Anche se Giuseppina cresce e studia come tutte le altre ragazze della sua età, il desiderio di Dio ha pervaso ormai tutto il suo cuore ed è solo la scuola del suo Signore che, riempiendola di nuova luce, l’attira sempre più a sé. Capisce che il Signore le chiede di più, di divenire tutta sua, ma non riesce a trovare il coraggio di staccarsi dall’affetto nutrito per la madre. Risponde a Dio con una preghiera sempre più intensa che la trattiene anche per lungo tempo in adorazione silenziosa davanti a Gesù Eucarestia. Ma quando la sorella Antonietta dà inizio ad un nuovo monastero a Napoli, Giuseppina chiaramente comprende di essere chiamata anche lei a quel genere di vita ma, poiché ancora manca di quel coraggio che le faccia prendere il volo, ci pensa Gesù: una semplice permanenza di pochi giorni al Carmelo della sorella si prolunga per motivi di salute fino a farla rimanere nel nascente monastero. Abbraccia così con gioia la vita carmelitana nella sua totalità ma presto scoprirà che Gesù vuole da lei distacco anche in questo contesto e le dona malattie da trasformare in amore. Per ben 5 anni (1918-1923), una serie di mali riducono Giuseppina a un gomitolo di nervi. E così, immobile, nella sua cella, soffre e offre per tutti. Quando sembra davvero ormai pronta a lasciare questo esilio terreno per raggiungere il Cielo, la potenza di Dio interviene e, grazie al contatto con la reliquia di San Francesco Saverio portata al monastero in data 26 giugno 1923, la malata guarisce istantaneamente. Anche per il medico curante, non presente in quel momento, la guarigione è inspiegabile: è un vero miracolo! L’evento prodigioso arricchisce Giuseppina di nuova grazia. Gesù infonde in lei il suo Santo Spirito ricolmandola di particolari doni: di profezia, di guarigione, di scrutazione dei cuori, di consiglio, di consolazione. Gesù le dona da bere l’acqua della vita perché possa essere a sua volta sorgente d’acqua che zampilla per la vita di molti altri. Inizia così per lei un nuovo periodo di vita in cui obbedendo ai superiori, in cui lei vede il Signore, che le chiedono di confortare alla grata sorelle e fratelli in pena, con cuore pronto e generoso, si mette al servizio del popolo di Dio. Quante volte pur avendo scelto per se stessa una vita di silenzio e di nascondimento ha dovuto lasciare il silenzio della sua cella per dare luce alle anime fra le tante sofferenze che la accompagneranno per tutta la sua vita. Eppure lei è felice! La sua gioia nasce dalla sua profonda unione con Gesù che, avendoci amati per primo, è venuto nel mondo non per essere servito ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti. Non si sente togliere la sua vita anzi è lei stessa a donarla. Alla scuola del Crocifisso ha imparato che in amore non si fanno calcoli, che amare è donare tutto e che non c’è amore più grande di chi dona la vita per i propri amici.

Il 30 gennaio 1983 Giuseppina diviene suor Maria Giuseppina di Gesù Crocifisso. La sofferenza è praticamente il suo pane quotidiano eppure è da lei sempre più amata, voluta e desiderata. Scrive: “La sofferenza è un caro e dolce bacio del Crocifisso. Nulla desidero fuorché la Croce, che è luce e amore” e ancora “Sento fortemente Gesù con me. La sofferenza è per me come una comunione intima con Gesù”.  Nel 1947 viene colpita da una dolorosissima sclerosi a placche. Non riesce più né a camminare né a vedere. Come ostia immolata all’Amore suor Maria Giuseppina trascorre il suo tempo nel dono di sé per il mondo. Praticamente, non vive più Maria Giuseppina ma Cristo vive, opera, ama in lei. Come Maria, suor Maria Giuseppina ha semplicemente pronunciato il suo “Fiat” e si è tutta offerta all’Amore per essere quella umanità in aggiunta in cui il Verbo Eterno di Dio avrebbe potuto completare tutto il suo mistero d’amore per il mondo continuando nella sua carne quelli che furono i patimenti di Cristo. Questo sperimentare la sua propria debolezza e impotenza, però, anziché avvilirla, ha favorito in lei lo sviluppo di quella gioia piena che nasce dalla consapevolezza di essere stata scelta e chiamata ad unirsi intimamente a Cristo Crocifisso per condividere con Lui i dolori di tutto il Corpo mistico, che è la Chiesa, di cui Egli è il Capo. Per Napoli, suor Maria Giuseppina è la “monaca santa”. Come Gesù che ha compassione per le folle che accorrono da Lui da ogni dove per ascoltarlo ed essere guariti da ogni sorta di infermità e malattie così anche suor Maria Giuseppina patisce con e per la sua gente, per l’umanità, e tutto offre al Padre. Scrive: “Vivo con l’umanità sofferente, e mi è dolce correre con il pensiero per le corsie degli ospedali, fermarmi ad ogni capezzale, offrire per ogni infermo, per ogni piaga da curare, tutte le pene dell’essere mio, per lenire, sia pure per un istante, le pene di chi soffre”. Suor Maria Giuseppina si sente davvero potente nella sua impotenza, forte nella sua debolezza, grande nella sua piccolezza. Infatti, come anche San Paolo ci ricorda, ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini e che ciò che è debolezza di Dio e più forte degli uomini. Così, dal suo letto di dolore, nella sua “apparente” impotenza e debolezza, all’uomo sempre più in balia degli eventi e alla ricerca di trovare a tutti i costi, e spesso anche a caro prezzo, un modo per essere felice, suor Maria Giuseppina insegna che ciò che conta non è altro che essere ciò per cui siamo stati creati: “immagine e somiglianza di Dio”.

Fra le tante pene che affliggono suor Maria Giuseppina rimane in lei come sottofondo costante una gioia inspiegabile. E’ sempre lei l’anima della comunità e, con il suo modo di essere, riesce a creare un’atmosfera soave di comunione tra le sue figlie. Nell’arco della sua vita religiosa viene eletta prima sottopriora e poi priora. Terminerà questo suo ultimo ufficio proprio sulla croce andando incontro al suo Sposo Crocifisso e glorioso il 14 marzo 1948. Segni prodigiosi ha lasciato anche dopo la sua morte. Esposta in coro 14 giorni, il suo corpo rimane incorrotto e dalle piaghe in cancrena emana un profumo che si espande ovunque. Ne fanno fede la testimonianza di 40 clinici napoletani e la grande folla che accorre per dare un ultimo saluto a colei che per tanti anni era stata per loro una vera madre. Il 3 gennaio 1987 il Santo Padre Giovanni Paolo II ne dichiara l’eroicità delle virtù mentre il 1 giugno 2008, per la gioia del suo Carmelo, delle sue figlie e di tanti fedeli papa Benedetto XVI la proclama Beata.

Per volare alto come la Beata Maria Giuseppina ciò che conta è tenere i piedi ben piantati a terra e, come la nostra Santa Madre Teresa insegna, lo sguardo sempre fisso sulla Sacratissima Umanità di Nostro Signore Gesù Cristo. La Beata Maria Giuseppina con tutta se stessa ha abbracciato un programma di vita costituito da un binomio inscindibile quali l’amore e la sofferenza nella gioia più vera spendendo così i 54 anni della sua vita al servizio di Dio e dei fratelli. Con il suo martirio d’amore quotidiano ci insegna come solo l’amore ha trasformato i suoi dolori, le sue sofferenze, le sue ferite, in feritoie di luce che hanno rischiarato e, ancora oggi, rischiarano il buio di tanti fedeli che a lei ricorrono per ricevere grazie e miracoli da Dio. Ma non solo! All’uomo di ogni tempo che con tutte le sue forze desidera la felicità, con la sua esperienza di vita, la Beata Maria Giuseppina svela il pieno significato di santità, di vita vera, di gioia senza fine ed il segreto per giungervi. E’ evidente che essa non è solo un premio da conseguire alla fine della nostra corsa terrena ma piuttosto una Realtà da vivere quotidianamente nell’esercizio della carità. Si può dire davvero beato, felice, non colui che può fare grandi cose per Dio ma colui che, come anche Maria canta nel Magnificat, permette a Dio di poter fare grandi cose in lui, lasciandosi amare ed imparando ad amare, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze, Dio e Dio nei fratelli, “ri-conoscendosi” in Lui che è l’Amore.

 

Articolo a cura delle Monache Carmelitane Scalze dei Ponti Rossi (Napoli)