Beata Elia di San Clemente

TEODORA: DONO DI DIO

Teodora Fracasso, nasce a Bari il 17 Gennaio 1901, terzogenita di nove figli (quattro morti in tenera età) dei coniugi Giuseppe Fracasso e Pasqua Cianci. Battezzata quattro giorni dopo nella chiesa di San Giacomo dallo zio sacerdote Carlo Fracasso e Cresimata secondo le abitudini del tempo nel 1903 da Mons. Giulio Vaccaro:

«Il celeste giardiniere affidò nella rigida stagione il debole fiorellino di quest’anima mia a elette creature che seppero ben custodirlo nella serra del loro santuario, gelosamente. La prima grazia di cui il buon Gesù mi fece dono fu il farmi nascere da genitori veramente santi. La mamma che sempre mi narrava l’avvenimento della nascita diceva che, sebbene in quel tempo nella nostra città vi era uno scompiglio di una setta ribelle al dovere, e che si faceva spargere senza pietà il sangue dei propri fratelli, e dappertutto il grido del dolore straziante si sollevava al cielo infuocato di lacrime, pure la venuta di questa creatura seppe tutto lenire nella modesta famigliuola apportando un’immensa gioia poiché pare che alla mia nascita avvennero parecchi segni, che i miei dichiararono predilezione del cielo. Presto fui portata alla sacra fonte per ricevere il Santo Battesimo ove ebbi il nome di Teodora».

Tra i fratelli e sorelle di Dora, ricordiamo in modo particolare Domenichina, che diventerà anche lei monaca Carmelitana, col nome di Suor Celina di San Carlo, proprio in ricordo della sorella di Teresa di Lisieux tanto cara a Suor Elia.

 

LA DONNA CON LA FALCE D’ORO

Nel Maggio del 1905 all’età di 3 anni e 4 mesi la piccola Dora, si reca in villeggiatura con la sua famiglia, e una notte sogna una giovane signora, con una falce d’oro fra le mani:

«Caro ricordo d’infanzia, prima grazia di che fece dono la Regina celeste alla piccola anima mia… Era Maggio ed io colla mia famigliola mi ero recata alla villeggiatura, contavo appena tre anni e quattro mesi […] onoravo tutti i giorni la Vergine e deponevo ogni sera ai suoi piedi, con la mia sorellina, il fiorellino di una mortificazione praticata in suo onore … Una sera, dopo aver recitato le preghiere e ricevuto il bacio dalla cara mamma, mi addormentai serenamente: quando verso l’alba la mamma viene svegliata da un mio grido: <>, poi levandomi da letto corsi dalla mamma per dirle tutto: era un sogno che aveva grandemente impressionato la mia animuccia; la mamma volle saper tutto ed io senza esitare un istante le dissi commossa: “Sognavo, mamma, che dinanzi la nostra casina verso il viale del cancello si estendeva un vasto campo di profumati gigli: una giovane matrona tanto bella, dagli occhi che scintillavano come due stelle, avvolta in un candido manto, lo attraversava avendo fra le bellissime mani una falce d’oro , con un sorriso di paradiso toccava delicatamente a destra e sinistra i bianchi gigli: ed essi a questo tocco dolcemente si chinavano sui loro steli. Giunta verso il termine del candido campo la bella signora, deponendo la falce, si è chinata, ha strappato dalla terra un piccolo giglio; lo ha guardato, lo ha mirato un bel pezzo e poi stringendoselo al cuore è scomparsa”. La mamma dopo avermi ascoltato commossa, sollevandomi fra le sue braccia, colmandomi di affettuosi baci, mi disse “piccina mia, era la Vergine Maria che con atto di compiacenza stringeva la tua animuccia al Suo Cuore, Tu la onori ogni dì ed essa ha voluto ricompensarti, facendosi vedere mentre tu dormivi”».

Con le lacrime agli occhi, più tardi, la piccola Dora pregherà nel giardino: «Mia buona Signora, com’eri bella! la mamma mi ha detto che Tu sei la Regina degli Angeli, la Signora del Cielo, oh! Come voglio amarti, a Te io mi offro per non essere mai e poi mai del mondo e quando mi farò grande sarò monaca […] E da quel giorno il desiderio e il continuo pensiero di essere monaca non partirono un solo istante dalla mia mente».

 

ADOLESCENZA

Nel 1906 entra nell’Istituto delle suore Stimmatine, dove praticamente trascorre tutto il giorno, tra laboratori di cucito e ricamo, crescendo poi diverrà una collaboratrice delle istitutrici. Frequenta la vicina parrocchia di San Francesco da Paola, tenuta dai Padri Domenicani, prendendo parte delle associazioni per fanciulli e giovani: associazioni mariane che educavano alla devozione a Maria. La notte prima della Prima Comunione il 7 Maggio 1911, fa un sogno misterioso che però non rivela. Sapremo solo in seguito che quella notte sognò l’allora Serva di Dio Suor Teresa di Gesù Bambino del Volto Santo, vissuta qualche anno prima nel monastero di Lisieux in Francia e morta in odore di santità (verrà proclamata Beata nel 1923 e Canonizzata nel 1925) che le profetizzò: “SARAI MONACA COME ME”.

 

IL BACIO D’AMORE

L’8 Maggio del 1911 (dopo un ritiro di 10 giorni, in cui per la maggior parte del tempo si ritirava da sola in cappella in “orazione mentale”) la piccola Dora fa la sua Prima comunione:

 «Chi potrà mai dire quello che provai nella notte precedente?… di tanto in tanto mi svegliavo e guardavo se spuntava l’alba, poi mi addormentavo e nel placido sonno mi pareva sentire un’armonia del cielo, un canto di Angeli… e il mio cuore purificato dal sangue preziosissimo del Nazareno godeva di queste delizie celesti […] Gli uccellini con i trilli canori annunziavano l’alba di un giorno, caro al mio cuore; uno di quei giorni più belli e indimenticabili della mia vita … Avvolta in una nube d’incenso che pareva nascondermi al creato, mi appressai per la prima volta al Banchetto degl’Angeli … Appena ricevuta la candida Ostia nel palpitante mio cuore, tutto scomparve … credevo di essere in Cielo a godere gli amplessi del buon Dio … Sentivo il delicato e tenero bacio d’amore di Gesù che sfiorava sulla mia fronte come un petalo di giglio … anzi mi perdevo come un atomo nell’aria, o meglio come una stilla di rugiada lanciata nell’oceano. Il mio cuore esiliato pareva spezzarsi, e volarsene in seno all’Eterno amore … di modo che non sapevo se era il cuore del buon Gesù che palpitasse in me, o il mio perduto in Lui».

 

 UN APPUNTAMENTO INSOLITO

All’età di 14 anni, riceve una proposta d’amore, da un giovane innamorato della sua bellezza umana e spirituale. Questa testimonianza ci viene data da sua sorella Domenichina, perché unica a conoscenza del fatto accaduto. Dora non lo respinge subito, dandogli appuntamento all’indomani davanti alla chiesa di San Gaetano, chiedendogli di pregare, confessarsi e partecipare alla santa messa. il giorno dopo, il ragazzo fatto come richiesto da Dora, si sente dire dalla stessa: «Non pensare a me. Io sono tutta del Signore. Io … potrò aiutarti con la preghiera» proponendogli così un’amicizia spirituale che il giovane accolse e portò nel cuore sempre. A Domenichina, prima del suo ingresso al Carmelo, parecchi anni dopo, il giovane dirà: «Dì a tua sorella che il suo aiuto e le sue preghiere mi hanno fatto più bene che non la sua compagnia»

 

LAVORAVA E PREGAVA

Attorno a lei, si forma un gruppetto di amiche che affascinate dalla sua spiritualità sono con lei “un cuor solo e un’anima sola” soprattutto nelle preghiere (oltre a sua sorella Domenichina, due ragazze su quattro diventeranno, come lei, Carmelitane. È attenta agli operai del laboratorio del padre ed alle loro famiglie, con pensierini e lavori vari …

«Nella bottega del padre c’era un povero operaio paralizzato agli arti superiori. All’ora del pranzo, Dora gli portava una scodella di minestra e lo imboccava con carità. Una volta un’amica s’accorse che Dora non aveva più gli orecchini datile dalla mamma. “Che ne hai fatto?” Le chiese. “Li ho dati a una povera ragazza che doveva sposarsi. Tanto a me non servono più, vado in monastero”. A volte capitava in casa una donna anziana che viveva sola e priva d’ogni igiene. Dora l’invitava in giardino e si metteva pettinarla. Un giorno la vecchietta non si vide più. La trovarono morta, sola in casa. Dora, prima provvide a far venire un ecclesiastico per farne benedire la salma, poi la lavò, la vestì e così la preparò per l’umile sepoltura». (Dalle Testimonianze)

 «L’amarti, o mio Dio, non consiste in fare opere grandi e strepitose, ma in sapersi immolare incessantemente nelle piccole cose… In questi piccoli nonnulla si trova l’amore di Dio!

 

 AMAVO IL BELLO

Teodora, è amante del mare, dei fiori, delle stelle «ogni cosa mi ricorda Te, la Tua presenza che vive in me» e tutti i suoi scritti sono pieni di queste immagini …

«Giunti (alla spiaggia) il mio sguardo si spaziava nel contemplare per lunghe ore l’immensità dell’oceano che tanto bene rivelava la grandezza e la potenza di Dio…Mi attraeva uno scherzetto che la sorellina Domenichina soleva fare. La piccola bimba affacciandosi al loggione della spiaggia si divertiva nel lanciare in fondo alle acque delle pietruzze e alle volte anche dei confetti…il mare accettava tutto ugualmente, e le onde parevano col loro mormorio ringraziassero la delicata manina di tanta bontà. Io mi divertivo nel guardarla e un mistero ineffabile si spiegava in me. Pensavo che quel semplice scherzetto era una pallida immagine della bontà di Dio. Oh! Come questa accoglie con amore tutte le anime che generosamente si lanciano in essa restando preda dell’amore…Sì, nei profondi abissi della bontà di Dio la mia anima trovò un sicuro asilo… […]

Se le mie parole si perdevano col vento che passava, quelle però del mio Dio insistentemente picchiavano il mio cuore. Egli non mi lasciava un solo istante, ovunque andavo in ciò mi circondava, il creato tutto dolcemente m’invitava a conoscere e ad amare questo Dio buono… […]

Amavo il bello…Sì, tutto attraeva il mio cuore, non mi sono mai stancata di passeggiare col babbo e forse avrei passato le notti intere ad ascoltare la musica…oh! Come le note vibranti e flebili scendevano nel mio cuore combattente… Il canto, oh!…anche questo grandemente amavo, era gioia per me nella primavera scendere agli albori in giardino per ascoltare quello degli uccellini, questa dolce armonia parea che mi additasse la via soave della vera felicità. Ma come darmi la felicità? …ciò era impossibile, perché la vera felicità è Dio stesso, e come trovare questo Dio, chi doveva parlare al mio cuore? Chi farmelo conoscere? Ed ecco che egli stesso abbassandosi alla sua figliuolina le darà la vera felicità: fino ad allora non aveva il mio cuoricino sentito nessun trasporto di grande amore, sebbene eccessivamente sensibile, pure non avevo amato nessuna creatura…Quando una mattina di maggio appena svegliata fatta la preghiera chiesi alla mamma di andarmene in giardino, come il solito mi recai quando il sole con i suoi raggi dorati accarezzava soavemente le delicate corolle dei variopinti fiori baciate dalla rugiada mattutina; quali impressioni: parea che tutto il creato si svegliasse in un concerto armonioso per lodare l’eterno Creatore, e da ciò non si assentava l’umile figliuolina di una erbetta ignorata che io coltivavo gelosamente, essa mi simboleggiava il nascondimento e la dimenticanza di tutti…A tal vista tutta mi sentii attratta e piegando anch’io le ginocchia grandemente commossa sollevando lo sguardo al cielo sentivo all’invito della terra, congiungersi anche quello degli eletti. Tutto taceva intorno a me e l’anima come se un velo le cadesse dai suoi occhi vedeva chiaro la verità della vita che passa quasi ombra…offrii il mio debole cuore, tutta me stessa al supremo Creatore d’ogni Bene…trovai la vera felicità…mi strinsi fortemente al suo Cuore promettendogli di non staccarmi mai più a costo della vita…»

 

 PROFEZIA

Siamo nel 1916, Dora, non aveva parlato con nessuno della sua propensione per il Carmelo, ma con sua sorpresa, un padre Domenicano, al termine di una sua conferenza a cui ella aveva assistito, le “profetizzò” la sua vocazione religiosa:

«Un giorno un Padre eminente dell’Ordine dei Predicatori faceva una conferenza alle donne cattoliche, e fra queste prendevo parte anch’io. Dopo la splendida conferenza tutte le signorine si avvicinarono al Rev.mo Padre, per congratularsi della sua eloquente e illuminata parola. Io vinta dalla vergogna restai con le altre mie compagne, qualche passo indietro, ma mi accorsi che il buon Padre, mentre commosso ringraziava tutte, pure non cessava di fissare il suo sguardo profondo su di me… e quando fui vicino per baciargli la mano, mi disse con un dolce sorriso: “Signorina, lei sarà una Carmelitana Scalza”. Meravigliata a tale proposta gli domandai come sapeva ciò… ed egli mi soggiunse “ è negli occhi che le leggo la vocazione … Si dia tutta, buona figliuola al Signore”».

 

VERSO IL CARMELO

Dora aveva avuta chiara la sua vocazione religiosa fin da quando aveva sognato, da fanciulla, Teresa di Lisieux, che l’aveva invitata a seguire la sua “piccola via” dell’umiltà e del nascondimento. Dora parla a casa di questo suo proposito di farsi monaca, la mamma le dice subito di sì, il papà invece vorrebbe che la sua Dora non si allontanasse da Bari. il Padre Pio Scognamiglio, superiore dei Domenicani in San Francesco, scrive al monastero di Lettere in provincia di Napoli, per conoscere le norme di ammissione; si trattava di un monastero di Domenicane, e Dora, che era già Terziaria Domenicana, aveva anche pensato alle Domenicane Contemplative. Ma suo padre, non appena lo seppe si oppose dicendole: “Senti, figlia mia, io mi sento onorato che tu possa diventare suora di clausura, ma fuori di Bari non ti darò mai il consenso”. Comunque a motivo della guerra in atto, ma anche delle difficoltà economiche in cui, con la guerra, il padre si trova, Dora deve attendere quasi quattro anni per realizzare il suo desiderio.

Intanto, si continua ad esercitare nella carità in casa e fuori, fa apostolato, continua a frequentare le Stimmatine e i Domenicani, medita e prega con le amiche, attendendo il momento opportuno, secondo il progetto di Dio Grazie alle indicazioni di una Suora Stimmatina, Dora e la sua amica Chiara, decidono di ascoltare un altro confessore e si recano alla chiesa del Gesù nella città vecchia dal Padre Sergio di Gioia SJ. Dora comprende che P. Sergio è l’angelo che ha sognato la notte prima, un angelo che la portava in cielo: “Mi raccontava la stessa Serva di Dio (Suor Elia) che una volta, mentre era in preghiera dinanzi al Crocifisso, chiedendo un lume speciale per conoscere la sua vocazione alla clausura, le apparve in sogno un angelo che prendeva lei e la sua amica Chiara Bellomo e le sollevava, dicendo loro che la loro vocazione non era per l’ordine Domenicano, ma per una religione più austera.” (Dalle Testimonianze)

Nel 1918 diversi mesi dopo, padre Sergio darà alle due ragazze il responso definitivo, indicando loro il Carmelo di San Giuseppe in Via de Rossi, al quale le accompagnerà lui stesso per la prima volta in visita al parlatorio nel Dicembre dello stesso anno.

«Non vi dico la gioia che sprizzava dal volto di Dora al ritorno a casa, e mi disse: “Memena, ho visto il Carmelo, dove devo entrare per farmi santa; è un paradiso, poi mi seguirai anche tu”.» (testimonianza di Suor Celina)

Dopo una serie di incontri con la comunità fu fissata la data d’ingresso di Dora in monastero: l’8 Aprile del 1920

«Addio casa mia, nido di pace e amore, dolce santuario di fede e virtù, addio per sempre, ti lascio per il mio Dio. Signore, ho udito la tua voce, volo al Carmelo. Addio Mamma diletta, profumata di ogni virtù… custodisti il mio cuore come in una pisside preziosa … Ti lascio solo per il mio Dio, non ti abbandono ma ti lascio per brevi istanti… E Babbo del mio cuore, addio, addio, ti lascio perché Gesù mi chiama, e sono felice di poter immolare a Lui il grande amore che ti porto, tu che ben mi comprendevi e tanto mi amavi mi doni al Signore perché sai bene che non sei il Padrone ma il custode della mia vita… Ho compreso che per condurre anime a Dio non era necessario compiere opere grandi; anzi, era proprio l’immolazione completa di tutta me stessa che mi chiedeva il buon Gesù: compiuta nel silenzio d’ogni cosa… Nella solitudine del mio cuore potevo salvare anch’io un numero infinite d’anime… Con la preghiera intima, continua, e col distacco da ogni cosa.” Dora, come la sposa del Cantico dei Cantici, sente la voce dello sposo che la chiama: “Alzati, amica mia, mia bella, e vieni, presto! O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è soave, il tuo viso è incantevole”».

Suor Elia definirà il suo ingresso al Carmelo un VOLO: “Signore, ho udito la tua voce e volo al Carmelo”

 

AL CARMELO

«Ora sì che posso ben cantare le divine misericordie e attendere in pace la sua dolce chiamata! Dio solo mi basta. … Il suo respiro è la mia vita e nel silenzio del mio cuore Egli ha stabilito la sua dolce dimora…[…]

Entrata al Carmelo. Le porte si dischiudono di questo paradiso terrestre ed io liberamente posso in esso volare. O Carmelo Santo … o Santa Religione … io tutta mi consacro a te … quanto mi appari bella, come m’incanta la tua solitudine. Oh! Signore, quanto l’ho ardentemente anelato questo luogo di pace: qui sono venuta per farmi santa, per pregare per la Chiesa e soprattutto per essere dimenticata. Quale incanto girare per i lunghi corridoi, quale gioia infinita mirare il chiostro, che è un vero orto di delizie, quale dolcezza veder per la prima volta la celletta, pur vista le tante volte in sogno ora possederla in realtà. E la cara Cappellina, e la piccola Custodia del dolce Sposo prigioniero d’amore? Gesù, Gesù, come ridire quello che passa nel mio cuore? Ho trovato tutto quello che cercavo, il Carmelo mi è apparso tale quale me l’immaginavo: no, non era esagerata la mia fantasia nel pensare il Carmelo, Gesù qui scioglierò il mio canto di riconoscenza infinita, nel mio totale silenzio ti canterò il mio immenso amore, mi sfoglierò sul tuo altare come rosa, e nella fornace ardente della tua divina carità si inceneriranno i miei petali. M’immolerò tutta generosamente per la salvezza delle anime, ti servirò fino all’ultimo mio anelito con tutto lo slancio del mio povero cuore mi perderò nell’abisso della tua dolcissima carità vagherò sicura sulle onde incalzanti di questo mare della vita e con la mia fede ti scorgerò all’eterna riva ove tu attendendomi con le braccia aperte mi stringerai al tuo cuore, e m’introdurrai nel regno del tuo amore ove in eterno canterò le tue divine misericordie».

Dora lascia davvero tutto e tutti fin dal primo momento come possiamo leggere da una testimonianza di sua sorella Prudenza : “il giorno del suo ingresso al Carmelo, alla mamma che era inconsolabile per il distacco la Madre Angela Lamberti per consolarla le disse: ‘Senta donna Pasqua, venga di nuovo nel pomeriggio a rivederla così si calmerà’. La mamma difatti tornò, ma Teodora non volle scendere in parlatorio facendo sapere alla mamma queste testuali parole: ‘ho abbracciato la vita monastica e perciò voglio diligentemente abbracciare la regola”.

 

“NON UN VELO MA UN MURO DI BRONZO” – la Notte Oscura dell’Anima

I primi tempi sono riscaldati da grande fervore. Una volta entrata nel Carmelo, Dora ripensa a come tutto sia stato grazia. ma subito dopo il “paradiso” per aver trovato il suo “posto”, la giovane postulante si trova travolta dalla tempesta più crudele: il dubbio sulla vocazione dubbio “confermato” ed alimentato dalla sua maestra di formazione.

«Non un velo ma un muro di bronzo si eleva dinanzi all’anima mia. tutto era tenebre fittissime per il mio spirito… il ricordo della mia casa, l’affetto dei miei cari, la pace del mio cuore che pareva completamente bandita, soffermarmi in coro, pregare in cella, rimanere in chiostri era un vero martirio. Anche in refettorio tutto mi disgustava. Mi domandavo dov’era finita quella brama, che mi aveva tanto tormentato di farmi religiosa, dove lo slancio per il buon Dio, dove l’ideale del Carmelo»

Erano i primi segni della “notte oscura”, ma la povera Dora non sapeva darsi ragione del mutamento del suo spirito. Il buon senso la portò ad andare dalla Maestra e di aprirgli l’anima, la giovane le parlò con tanta umiltà in ginocchio e con tanta fiducia di ascoltarne una parola di luce. N’ebbe invece, un’oscurità più profonda:

«Rispose che avevo sbagliato vocazione, che era stato un vero inganno entrare al Carmelo, che il tenore della vita al Carmelo non si confaceva all’anima mia e che era inutile persistere nell’errore».

La Maestra ne parlò alla Priora, e quest’ultima incominciò a guardare la povera postulante con freddezza. Provvidenza volle, che, alla votazione per l’ammissione di Dora alla vestizione, si fu d’accordo nell’ammetterla “sub conditione” “nella speranza che il tempo avrebbe chiarito tutto”.

 

SUOR ELIA DI SAN CLEMENTE

Il 24 Novembre 1920, nella Solennità di San Giovanni della Croce (la data fu poi spostata al 14 dicembre, giorno della sua morte, nel 1972) avviene la Vestizione Religiosa. Dora assume il nome di ELIA, al quale il Padre Generale di quel tempi aggiunge DI SAN CLEMENTE.

«Pure in quel giorno trovavo nel silenzio l’unica mia consolazione e nell’apprestarmi all’altare sentii che solo il mio Dio sarebbe stato il mio amico fedele. L’uragano, passando con tutta veemenza piegò la piccola corolla, ma non svelse le radici, perché piantate nel cuore stesso di Gesù».

Negli anni di noviziato la giovane prende come modello la piccola Teresa di Gesù Bambino, e come lei si propone d’accettare per amore di Gesù piccole incomprensioni, piccoli torti, mancanze di delicatezza, “inevitabili nella vita comune”; presagisce vicina la morte; chiede il permesso di potersi alzare al mattino un’ora prima della comunità, di potersi trattenere, il giovedì sera dopo l’Ufficio divino delle 21, per l’Ora Santa, di poter usare strumenti di penitenza corporale (cilicio e disciplina). Lavora molto, anche nel tempo della ricreazione e fuori orario; non dice nulla di dolori vari (all’orecchio e al cuore). La crisi che aveva preceduti la sua vestizione, era ormai un lontano ricordo:

«il ricordo di essere stata fin dai primi anni tutta di Gesù, dolcemente si risvegliava in me; mi sentivo cambiata, anzi trasformata, perduta come una gocciolina d’acqua nell’abisso di un oceano, come al primo giorno del mio ingresso al Carmelo benedetto».

Al termine del primo anno di noviziato, Suor Elia iniziò gli esercizi spirituali in preparazione alla prima professione religiosa con i voti temporanei. Nel giorno della sua prima professione (4 Dicembre 1921) oltre all’atto di professione, scrisse un altro voto, ispirato a quello di Santa Teresina: l’offerta di tutta se stessa come vittima d’amore a Gesù Ostia vivente nei nostri altari:

“Io, Suor Elia di San Clemente, offro tutta me stessa al celeste sposo dell’anima mia nel riposo solenne della mia professione e gli giuro eterna fedeltà, vivendo da vera sua eletta, bramando quaggiù altro che il suo santo amore. Perciò rinunzio fin da questo momento ad ogni amore sensibile, ad ogni soddisfazione, ad ogni minimo affetto, ad ogni gusto spirituale, per non vivere che di pura fede, amando, operando solo per Dio, immolandomi all’ombra di un profondo silenzio, quale ostia, vittima del suo amore, in ogni istante della mia vita”.

Il cammino verso la professione solenne dei voti durerà cinque anni: quello di Suor Elia è stato sempre in ascesa. Aveva ben compreso che il Signore l’aveva chiamata al Carmelo non solo per amare, soffrire, immolarsi, ma anche per perdersi nell’Amore. Dopo il secondo anno di noviziato, le fu affidato il compito di istitutrice e maestra di ricamo, presso l’educandato del Monastero. Ricoprirà questo incarico per due anni (1923-1925)

«Nelle ragazze cerco di vedere l’immagine Vostra e penso ai Vostri anni infantili. Mi pare di vedere Voi, specialmente nelle più piccole, e resto commossa alle loro infantili ingenuità e al loro candore. Queste creature, tutte, le amo ugualmente in Voi… nulla cercando di mio interesse, di mia soddisfazione e preferisco mille volte la morte che sentire nell’anima mia il minimo atto di vanagloria»

Esercitava sulle ragazze un grande fascino e un grande ascendente, confermando le sue innate doti di “Leader”. Lasciò per questo incarico la sua amata cella per un angolo di dormitorio in cui solo un paravento la separava dalle altre ragazze. I suoi metodi di guida e di assistenza non erano apprezzati in particolare dalla Direttrice, che nel suo stile educativo esigeva autorità, rispetto e grande disciplina. Suor Elia, intuì subito che avrebbe sofferto molto ed ebbe la forza di non lasciar trasparire all’esterno i suoi disagi che riusciamo a comprendere solo parzialmente in una lettera della Quaresima 1924 indirizzata a Padre Elia. Le accuse formulate contro Suor Elia non erano solo motivate dal fatto che appariva troppo condiscendente con le ragazze ma anche dal suo stile definito troppo confidenziale verso qualche suora. Per questo venne isolata dagli altri membri della comunità ma nonostante la sofferenza Suor Elia, rimarrà sempre in silenzio, e parlando delle sue sorelle come degli angeli. In accordo con il suo Padre Spirituale, e della Madre Priora, aggiunge ai 3 voti di castità, povertà e obbedienza, il “voto del più perfetto”, scritto con il suo stesso sangue:

“Mio Dio, per vivere con voi unita in più perfetto amore, faccio voto di fare ciò che al momento in cui opero mi sembrerà come il più perfetto e di maggior vostra gloria. Mio Dio, degnatevi di accettare questo mio sacrificio fino… e corroborare con la vostra divina grazia la mia debolezza, onde possa sempre piacervi. Amen. Suor Elia. Ciò mio Dio, suggello col mio sangue.” 8 Dicembre 1924

L’11 Febbraio 1925, Suor Elia pronunciò i suoi voti solenni:

«la mattina dell’11 Febbraio l’anima mia era immersa in un oceano di pace, e di quella pace di cui solo Gesù sa far dono alle anime … Che dirle poi della santa Velazione? Padre dell’anima mia, per quanto volessi non riuscirei giammai a trascriverle con parole quello che passò nell’anima mia, specialmente quando già velata fui coperta dal cadino; il tempo veramente fu un po lungo, ma a me sembrò un’istante, un attimo… Sono felicissima d’essermi offerta al Signore: non ho altro se non un giorno che fugge, e questo voglio passarlo cantando le divine misericordie». (Lettera a Padre Elia – Preposito Generale dell’Ordine e suo direttore di spirito)

La felicità di Suor Elia era destinata a crescere in quel periodo perché tre mesi dopo la sua professione, la Chiesa proclamò Teresa di Gesù Bambino Santa, e ancora perché il 15 Agosto dello stesso anno, sua sorella Domenichina entrerà al Carmelo prendendo, come abbiamo già visto, il nome della sorella di s. Teresa, Celina. Al termine dell’anno scolastico 1925 non le fu rinnovato l’incarico di insegnante e non le fu dato nessun altro impegno comunitario. Solo nel 1927 le fu dato l’incarico di sacrestana, che la rese molto felice perché si sentiva ancora più vicina alla sua Santa Teresa, permettendogli così di dedicare il suo tempo tra la cella e la sacrestia, dedicandosi con cura ai paramenti liturgici, ai vasi sacri… si realizzava così il suo sogno più grande: essere il più vicina possibile accanto al Tabernacolo.

 

“MI AVVICINO ALL’ETERNITÀ”

Verso la fine del 1926 un forte mal di testa cominciò a tormentarla. Questo “fratellino” (così suor Elia chiamava questo mal di testa) l’accompagnò fino al termine dei suoi giorni. Per le sorelle essa era vittima di un “fatto nervoso” mentre per la Priora subiva le conseguenze di uno sforzo della vista che poteva correggersi con un paio di occhiali che le mise a sua disposizione. Durante gli ultimi giorni vissuti sulla terra, Suor Elia ha spesso parlato del Cielo, mai del desiderio di morire, pur prevedendo vicino l’evento. All’inizio dell’Avvento, sua madre venne al Carmelo, per vedere le figlie, salutandole con un “Arrivederci a Natale”. Sorridendole Suor Elia le rispose chiedendole una sua foto “Chissà se ci rivedremo”. Spiegherà a Celina il significato della foto: “voglio almeno vedere mammina in fotografia prima di morire”.

Dal 21 Dicembre le condizioni di salute peggiorarono. Si ritirò in cella e alla sorella che la confortava, mentre trovava ancora la forza di lavare il pavimento, confidava: “questo dolore di testa è la morte”. La sera di venerdì 23 a suor Celina che le faceva compagnia nella cella confidava di sentirsi “sempre più vicina alla fine”. Non volle che fossero avvisati i genitori della gravità del suo male ed alla Madre priora che le fece visita le disse: “Sì, nostra Madre, io andrò a vedere Gesù Bambino in Paradiso”.

Sua sorella chiese invano l’unzione degli infermi, perché era ancora diffusa la convinzione che si trattasse di un fatto nervoso. La mattina del 24 fu chiamato un medico che sentenziò subito: “incipiente meningite o encefalite”. le sue condizioni peggiorarono nel pomeriggio, e convocato il Dott. Nitti fu confermata la diagnosi dell’encefalite e sottovalutando la gravità, consigliò di metterle del ghiaccio sulla fronte e si impegnò nel ritornare l’indomani mattina per visitarla. Durante la messa di mezzanotte, partecipò a messa il padre di suor Elia, che ignorava quanto stava accadendo. L’indomani mattina la Madre Priora si decise a convocare il medico che constatò che ormai per Suor Elia non c’era più nulla da fare. Viene in Monastero il confessore, che può soltanto amministrare l’Estrema unzione. Mentre il Sig. Fracasso si reca al monastero, incontra il medico che ha visitato la figlia; alla notizia sviene e viene portato a casa; viene avvertito il resto della famiglia, che con il permesso dell’Arcivescovo possono entrare in Clausura per visitare la moribonda… sono le 11.

“Alle 12 precise l’Anima santa di Suor Elia spirò placidamente, mentre tutte le campane suonavano a festa, compiendosi così quello che ella stessa in vita aveva sempre predetto” (Dalle testimonianze)

Le esequie di Suor Elia furono celebrate il mattino del 26 Dicembre 1927 dall’Arcivescovo mons. Augusto Curi e da molti celebranti. In tanti cercavano di toccare la salma, la cappa, i fiori. La Salma fu portata al cimitero con grandissimo e impensabile concorso di gente, ed inumata nel terreno della confraternita di San Marco, Riesumata il 20 maggio 1933 e portata prima nella cappella comunale dove per tre giorni si celebrano messe e si potè permettere la devozione dei fedeli, dopodiché fu portata nella cappella delle monache, nel cimitero. dove all’esterno della cappella fu affissa una semplice lapide: “Suor Elia di San Clemente, Carmelitana Scalza, 1901 – 1907”.

È stata Beatificata durante il Pontificato di Papa Benedetto XVI, il 18 Marzo 2006 nella Cattedrale di Bari, con una solenne Celebrazione, presieduta dall’Arcivescovo Mons. Francesco Cacucci. La sua memoria Liturgica si celebra il 29 Maggio, in ricordo del Congresso Eucaristico (e della visita di Papa Benedetto XVI) vissuto nella città di Bari nel 2005.

 

LETTERA APOSTOLICA CON LA QUALE IL SANTO PADRE BENEDETTO XVI ISCRIVE NELL’ALBO DEI BEATI LA SERVA DI DIO SUOR ELIA DI SAN CLEMENTE

Noi, accogliendo il desiderio del Nostro Fratello Francesco Cacucci, Arcivescovo di Bari-Bitonto, e di molti altri Fratelli nell’Episcopato e di molti fedeli, dopo aver avuto il parere della Congregazione delle Cause dei Santi, con la Nostra Autorità Apostolica concediamo che la Venerabile Serva di Dio Suor Elia di san Clemente, vergine dell’Ordine delle Carmelitane Scalze della Beata Maria Vergine del Monte Carmelo, che ha consacrato la sua vita contemplativa per amore di Cristo al servizio della Chiesa, d’ora in poi sia chiamata Beata e che si possa celebrare la sua festa nei luoghi e secondo le regole stabilite dal diritto, ogni anno, il 29 maggio.

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Amen.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 14 marzo dell’anno del Signore 2006, primo del Nostro Pontificato.

BENEDICTVS PP. XVI

 

 

a cura di Fra Michele della Vergine del Magnificat, Ocd

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I testi sono tratti da:

  • Elia di San Clemente: “SCRITTI” – Edizioni Ocd – 2006
  • “IL SEME E IL FIORE. VITA E SPIRITUALITÀ DELLA BEATA ELIA DI SAN CLEMENTE (1901-1927)” – Giuseppe Micunco – EDIPUGLIA – 2013