Benedire per dire bene – Diaconato Fra Aristotle e Vincenzo

Domenica 5 novembre, Sua Eccellenza Mons. Giuseppe Satriano, ordinava diaconi i nostri due confratelli Fra Vincenzo e Fra Aristotle, i quali avevano emesso il giorno precedente la loro Professione Solenne. Hanno ricevuto un nuovo sacramento nella loro vita, una grazia da effondere su quanti li avvicineranno per chiedere la benedizione del Signore, per nutrirsi della Sua Parola, per accostarsi al Corpo e al Sangue di Cristo. C’è una cosa che normalmente accomuna i fedeli che si avvicinano ai ministri di Dio: la fame e la sete di Dio, la fame e la sete di salvezza. E poiché il Signore elargisce ordinariamente tale grazia per mezzo dei sacramenti, ecco che loro stessi diventano strumenti di un Amore che salva, che benedice, che libera e che nutre coloro che dicono al Signore: “ha sete di te l’anima mia” (Sal 62,2).

Così, a partire da Domenica, Fra Vincenzo e Fra Aris hanno cominciato ad esercitare un’attitudine paterna verso il popolo cristiano, e questa paternità ha il suo fondamento teologico e pratico nella paternità di Dio, “dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome” (Ef 3,15), e nella responsabilità che la Chiesa affida loro, nell’amministrare i sacramenti e nell’essere testimoni della sua Parola.

Essere “padri” infatti non significa vivere “sopra” la testa di qualcuno o essere più “alti” o più “grandi” dei propri figli, ma significa vivere al loro fianco, insegnare loro a camminare nella fede, spezzare loro il “Pane quotidiano” perché il popolo di Dio non muoia di fame; significa avere amore per le anime, insegnare loro le parole più importanti, quelle vere, quelle che salvano e che li aiuteranno a crescere, significa dare loro il latte spirituale di cui hanno bisogno per poi nutrirli con un “cibo più solido”, che aiuti ciascun fedele a vivere l’unione con Dio secondo il proprio stato.

A partire da Domenica non ci è più concesso escludere da Fra Vincenzo e fra Aris questa dimensione paterna che spiega e mostra la loro nuova missione. Loro vivono per imparare e allo stesso tempo per insegnare a parlare le parole di Dio, come un padre o una madre insegna al proprio figlio il linguaggio da usare; ma come sappiamo, il bambino non impara a parlare semplicemente ascoltando le parole del proprio genitore, ma anche imitando i movimenti della sua bocca. Così i nostri due nuovi diaconi, da ciò che diranno, da come opereranno, da quanto ameranno, saranno di esempio e di insegnamento per il popolo di Dio, che guardandoli saranno portati a seguirli per meglio seguire Cristo. Sarà questa coerenza, tra le parole e la vita, che li porterà a dire come San Paolo: “fatevi miei imitatori” (Fil 3,17), avendo a mente non tanto la propria persona ma la persona di Cristo in loro, non la propria forza, ma la grazia di Dio che opera attraverso di loro. Da questo li riconosceranno discepoli di Cristo: se avranno amore gli uni per gli altri (cf. Gv 13,35).

Per questo è importante che essi bene-dicano e cioè che dicano bene di Dio e di tutti: è importante cioè che la loro bocca segua il loro cuore; solo così le loro mani diranno la verità e si confonderanno con le mani di Dio, perché si identificheranno in esse.

Non possiamo non aiutare i nostri confratelli adesso che hanno la responsabilità di bene-dire: solo chi ama davvero il Signore e ama davvero il popolo a Lui consacrato, può conoscere la profondità e il “pondus” di questi gesti e di queste parole, e loro hanno cominciato già a gustare e conoscere il significato e l’importanza di questa realtà, quando qualcun altro prima di loro ha imposto le mani sul loro capo, ordinandoli al servizio di Dio, quando si sono stesi per terra per chiedere l’intercessione di tutti i santi, quando si sono girati verso l’assemblea e hanno visto che un intero popolo li stava aspettando, perché la Chiesa ha bisogno di mani, di piedi, di bocche e di cuori che amano e diffondono il Vangelo, hanno bisogno di questi nostri confratelli che dicendo: “il Signore sia con voi”, ci ricordano che non siamo soli e il Signore è effettivamente con noi e ci parla per mezzo della sua Parola e delle loro parole; abbiamo bisogno di loro che ci dicono: “scambiatevi un segno di pace”, in un mondo dove pace non c’è, abbiamo bisogno di loro che dicono: “andate in pace”, e cioè con la pace di Cristo nel cuore, mentre ci sono tanti cuori nel mondo dove spesso la pace di Cristo non c’è.

Loro sono nuovi profeti, nuove luci, nuove speranze per la nostra Provincia, per il Carmelo intero e per la Chiesa tutta; eppure cosa fanno di straordinario se non prendere l’acqua, aspergere, pronunciare alcune parole o tracciare un segno di croce?

Sembra che facciano poco e invece fanno tutto, perché in quel “poco” dimora la grazia dello Spirito Santo, dimora l’Onnipotenza di Dio, dimora il fuoco dell’Amore, che si manifesta nel “potere dei segni e non nei segni del potere”. Santa Teresa di Lisieux ci ricorda che ciò che conta non sono le grandi opere, ma quelle semplici fatte per amore di Dio, ci ricorda che non sono i potenti della terra a vincere l’oscurità, ma le piccole azioni di ogni giorno; sono i gesti più semplici a convertire il mondo, e la proclamazione della Parola del Signore come anche il segno della benedizione, sono atti di infinito amore e di grande e vera efficacia per chi ha fede.

E’ per questo amore verso la piccolezza e la semplicità che Nostro Signore si mise a servire i suoi discepoli; Lui il Maestro e il Signore si fece servitore, lavò i piedi ai suoi, si chinò sulle loro miserie e fragilità umane; così Gesù vuole Fra Vincenzo e fra Aris servitori di Dio e dei fratelli, così li vogliamo anche noi: uomini pieni di carità, che esercitano la loro diakonìa cinti di grembiule e con la Parola di Dio tra le labbra.

Per questo assume un significato ancora più grande il fatto che sabato abbiano professato la povertà, perché questa è di fondamento per un autentico verso gli altri poveri del mondo; si sono spogliati per arricchire gli altri e arricchirli anzitutto di Dio.

Questo ha affermato anche Mons. Satriano nella sua omelia, ricordandoci che diventiamo i primi solo quando ci facciamo ultimi e che diventiamo “padri” solo quando prendiamo coscienza di essere figli, e che in fondo, come il popolo di Dio, siamo affamati e assetati anche noi di Lui, e se nutriamo gli altri è perché la grazia non viene da noi ma dalla Sua bontà che ci rende amministratori e dispensatori dei suoi doni. A Fra Vincenzo e a Fra Aris possiamo augurare proprio questo: di essere loro per primi continuamente affamati e assetati di Dio, in modo da comprendere e soddisfare la fame e la sete di tutto il popolo che anela al Signore.

Anche per questo diciamo bene di Lui e cioè lo benediciamo per i doni elargitici domenica; anche per questo chiediamo a Fra Vincenzo e fra Aris di dire bene di noi, e cioè di benedirci. In un mondo dove c’è tanto male, agite bene, dite bene, fate bene…fratelli….

 

Fra Andrea Palmentura, Ocd