Santa Elisabetta, Lode di Gloria della Santissima Trinità

La carmelitana di Dijon vissuta nel XIX secolo, pur nella brevità della sua esistenza terrena, visse una intensa esperienza spirituale sicché “ il suo messaggio si diffonde con forza profetica” come ebbe a dire s. Giovanni Paolo II nell’omelia di beatificazione: Alla nostra umanità disorientata che non sa più trovare Dio o che lo deforma, che cerca su quale parola fondare la propria esistenza, Elisabetta dona la testimonianza di una perfetta apertura alla Parola di Dio, da lei assimilata a tal punto da nutrire meravigliosamente la propria riflessione e preghiera e da trovarvi tutta la motivazione per vivere e consacrarsi alla lode della sua gloria. E questa contemplativa lungi dall’isolarsi, seppe comunicare alle sorelle e ai vicini la ricchezza della sua esperienza mistica.

Tutta la vita di Elisabetta Catez è segnata da un particolare rapporto con Dio, il Dio Trinità che lei confidenzialmente chiama “i miei Tre”, scrive: Vorrei corrisponderVi passando sulla terra come la Santa Vergine, «custodendo tutte queste cose nel mio cuore», seppellendomi, per così dire, nel fondo della mia anima per perdermi nella Trinità che ivi dimora, e trasformami in essa”.

Elisabetta con il suo messaggio “Dio abita in me”, si pone con una missione tutta specifica all’interno della Chiesa e del Carmelo, dove il Carmelo stesso è visto come il luogo dell’adorazione pura, dell’offerta totale: “Mi sembra che in cielo la mia missione sarà di attirare le anime aiutandole ad uscire da loro stesse e aderire a Dio attraverso un movimento tutto semplice e amoroso, e di conservare in un grande silenzio interno che permette a Dio di imprimersi in loro, di trasformare in Lui stesso”.

 

 

 

Possiamo dividere la vita di Elisabetta in tre periodi contraddistinti da tre modi di firmarsi:

  1. 1880-1901 Elisabetta Catez;
  2. 1901-1905 Elisabetta della Trinità;
  3. 1905-1906 Laudem Gloriae.

Il primo periodo della sua vita, il più lungo, manifesta un profondo cambiamento di Elisabetta. La natura collerica e violenta, forse anche a causa dell’ambiente militare in cui è vissuta, i frequenti cambiamenti di residenza, l’incertezza del domani, incidono profondamente sul carattere di Sabeth che come qualcuno ebbe a dire diventerà “o un diavolo o una santa” ma sarà l’incontro con Gesù Eucarestia che produrrà progressivamente il cambiamento della giovane. Elisabetta è un’artista e come tale ha un carattere molto sensibile, amante del bello, della natura: i suoi scritti soprattutto “le escursioni del Juira” manifestano questa sua attitudine. Durante le vacanze estive, dove ha la possibilità di essere maggiorente a contatto con il creato, si reca spesso in pellegrinaggio verso vari santuari manifestando in tal modo la sua devozione verso la Vergine.

Il secondo periodo della sua vita è quello della vita claustrale che va dal 2 agosto 1901 al 1905, periodo in cui si firma Elisabetta della Trinità. Sono questi gli anni che segnano la sua maturità spirituale così come traspare dagli scritti. Si riconosce pienamente nel nome nuovo che segna la sua particolare vocazione: “mi sembra che questo nome indichi una vocazione particolare, non è bello? Amo tanto questo mistero della Trinità, è l’abisso in cui mi perdo!…”.

Ogni vocazione porta con se una missione propria ed anche Elisabetta nel nome-vocazione coglie la sua missione nella chiesa “di attirare le anime aiutandole a farle uscire da se per aderire a Dio attraverso un movimento tutto semplice e amoroso e di conservarle in questo silenzio interiore che permette a Dio di imprimersi in loro e trasformarle in Lui”.

La compagna di vita carmelitana di Elisabetta sarà la Vergine Maria: nella festa della sua Immacolata concezione veste l’abito religioso: “é in questa festa della sua Immacolata Concezione che Maria va a rivestirmi della mia cara livrea del Carmelo. Il distacco dalla famiglia le è stato doloroso ma lei aspira a qualcosa di più grande  e per questo è sempre riconoscente del sacrificio fatto dalla mamma e dalla sorella Margherita: “poiché mi era necessario il tuo “fiat” per entra in questo angolo di cielo, grazie per l’aver pronunciato così coraggiosamente. Se tu sapessi come il buon Di ti ama! E come la tua figlia ti è cara più che mai!”. Elisabetta mette in relazione il “si “ di Maria con quello della mamma.

Al periodo di serenità segue quello che potremmo definire della “notte oscura”, è il tempo della purificazione caratterizzato dagli scrupoli, aridità, inquietudine interiore, eccessiva sensibilità: “Non è più un velo – scrive – ma un muro spesso che me lo nasconde. È molto duro,.., dopo averlo sentito così vicino, ma sono pronta a dimorare in questo stato d’anima tutto il tempo che piacerà all’Amato lasciarmi….”.  Unica testimone del duro cammino interiore di Elisabetta è la M. Germana che intuisce il lavoro di purificazione che si sta realizzando nella novizia. Con un atto di fede pura l’11 gennaio 1903 emette la sua professione religiosa rimettendosi unicamente in Gesù.

Tutto l’esercizio della sua vita di consacrazione si svolge nel ritirarsi continuamente nel silenzio profondo del suo essere per vivere in comunione con i “Tre” che vi abitano. Il sentirsi abitata dalla presenza trinitaria costituisce l’avvenimento che segna la sua vocazione, il suo ideale supremo, scrive: “ sono “Elisabetta della Trinità”, cioè Elisabetta che scompare, si perde, si lascia invadere dai Tre”. Nel vivere tale realtà guarda alla Vergine volendo rispondere come Lei “conservando tutte le cose nel cuore, seppellendomi per così dire nel fondo nella mia anima al fine di perdermi nella Trinità che lì dimora per trasformarmi in lei. Allora la mia divisa, il mio ideale luminoso, saranno realizzati, sarò Elisabetta della Trinità!”.

Il mistero trinitario diventa sempre più intensamente la verità dominante della sua vita, mentre il tutto si dilegua. Il 21 novembre 1904 si sentì trasportata da un movimento irresistibile della grazia, verso la Trinità santa, scrivendo, senza esitazione, la sua celebre preghiera “Mio Dio Trinità che adoro”, sintesi di tutta la sua vita interiore. Elisabetta desidera essere una cosa sola con la Vergine Maria e in questo suo slancio di conformazione ai suoi atteggiamenti era stata confermata dal p. Fages nei giorni di ritiro precedenti la Elevazione: “Volete che il Verbo viva in voi; volete che l’Incarnazione porti il suo frutto? Non vi sono che due mezzi. Lo Spirito Santo ha fatto nascere e crescere il Figlio di Dio nel seno della Vergine; ebbene è ancora Lui che lo farà nascere e crescere in voi”.  Per questo intimo desiderio di Elisabetta possiamo dire che Maria è presente nell’Elevazione. Ciò che le interessa è unirsi all’anima della Vergine in quanto modello supremo di comunione con Dio.

Dal 1905 fino al termine della sua vita si firmerà “Laudem Gloriae”. Nell’estate del 1905 rileggendo il passo di Paolo Ef. 1,12, si sente investita di una vocazione specifica. È il terzo periodo della sua vita dove promuoverà esclusivamente la gloria di Dio divenendone una “lode perenne”.

È un tempo segnato questo dalla sofferenza che la porterà alla morte ma vissuto come segno della predilezione divina che ci ha predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo (Rm 8,29).

In tale periodo, intenso ed altissimo, della vita di Elisabetta, si moltiplicano i riferimenti a Maria: è lei il modello della perfetta lode di gloria della Trinità, è colei che in quanto nascosta attira le compiacenze della Trinità santa. Maria, proprio per la sua unione a Cristo e per la sua maternità nei confronti degli uomini, è per Elisabetta “Laudem gloriae”, la Madre che le insegna ad offrirsi per Cristo, con Cristo e in Cristo. In quanto Madre, Maria è la custode del suo cielo, la “Janua Coeli” che la introdurrà negli eterni tabernacoli dei cieli.

 

Articolo a cura di Padre Andrea di Santa Elisabetta della Trinità (L’Afflitto), Ocd

 

 

 

ELEVAZIONE ALLA SANTISSIMA TRINITA’

O mio Dio, Trinità che adoro, aiutami a dimenticarmi interamente per stabilirmi in Te, immobile e quieta come se la mia anima fosse già nell’eternità. Che nul­la possa turbare la mia pace né farmi uscire da te, o mio Immutabile, ma che ogni istante mi porti più lon­tano, nella profondità del tuo Mistero. Pacifica la mia anima, fanne il tuo cielo, la tua dimora amata e il luo­go del tuo riposo. Che io non ti lasci mai solo, ma che sia là tutta intera, tutta desta nella mia fede, tut­ta ado­rante, tutta abbandonata alla tua azio­ne creatrice.

O mio Cristo amato, crocifisso per amore, vorrei es­sere una sposa per il tuo Cuore, vorrei coprirti di glo­ria, vor­rei amarti… fino a morirne! Ma sento la mia impotenza e ti chiedo di «rivestirmi di te», di identifi­care la mia ani­ma a tutti i movimenti della tua anima, di sommergermi, d’invadermi, di sostituirti a me, af­finché la mia vita non sia che un’irradiazione della tua. Vieni in me come Adoratore, come Riparatore e come Salvatore. O Verbo eterno, Parola del mio Dio, voglio passare la vita ad ascoltarti, voglio farmi tutta do­cilità per imparare tutto da te. Poi, attraverso tutte le not­ti, tutti i vuoti, tutte le impotenze, voglio fissarti sempre e restare sotto la tua grande luce; o mio Astro amato, affascinami, perché io non possa più uscire dallo splendore dei tuoi raggi.

O Fuoco consumante, Spirito d’amore, «scendi in me», affinché si faccia nella mia anima come un’incarnazio­ne del Verbo: che io sia per lui un’uma­nità aggiun­ta nella qua­le egli rinnovi tutto il suo Mi­stero. E tu, o Padre, chinati sulla tua povera piccola creatura, «coprila della tua ombra» e non vedere in lei che il «Di­letto nel quale hai posto tutte le tue compia­cenze».

O miei Tre, mio Tutto, mia Beatitudine, Solitudine in­finita, Immensità in cui mi perdo, mi consegno a voi come una preda. Seppellitevi in me perché io mi sep­pellisca in voi, in attesa di venire a contemplare nella vostra luce l’abisso delle vostre grandezze.